domenica 28 dicembre 2014

La Coop, strategie di vendita, stagisti e una destra italiana che fa sempre più pena

La Coop non è mai andata a genio a chi non è di sinistra. Ammetto che anche a me non sta particolamente simpatica, però  quando leggo certe cose mi viene davvero da chiedere se chi le scrive ci è o ci fa.

Sì perchè capisco odiare qualche cosa, capisco lo scrivere su un quotidiano di una destra palesemente in crisi di consensi, ma uscirsene con discorsi di questo tipo è tragicomico.

Articolo in prima pagina online qualche giorno fa su "Il Giornale":






"LA COOP SI PAGA GLI STAGISTI CON LA SPESA DEI CLIENTI"

Titolo nelle intenzioni scandalistico, degno del miglior (o peggior) giornale di gossip. Basterebbe però fermasi un secondo per chiedersi "Perchè, gli altri con cosa pagano gli stagisti e i dipendenti tutti?". Esatto, con la spesa dei clienti.

L'articolo poi è tutto un cercare di trovare un appiglio per rendere poco etica (per non dire vergognosa) l'inizitiva della Coop in cui

"anziché ritirare i regali come avviene di solito, il cliente riceverà tot bollini ogni tot di spesa e aiuterà, in questo modo, a coprire i costi di uno stagista che, a sua volta, riceverà 500 euro al mese per fare uno stage in uno dei 1.394 supermercati della filiera rossa. Un'occupazione (provvisoria) che, in futuro potrebbe anche tramutarsi in un posto fisso."

Perchè viene criticata? Semplice: funziona! 

"Lo scorso anno, a Mantova, un esperimento pilota ha dato ottimi risultati (per la Coop). Il fatturato è stato esplosivo, perché condito con la salsa del buonismo, e ha generalo bollini per ben 45mila euro. In venti disoccupati hanno potuto, quindi, partecipare ai tirocini formativi per poi essere assunti all'interno di uno dei supermercati"

Una campagna marketing geniale che ha aumentato le vendite del supermercato e, al contempo, ha dato lavoro ad un tot numero di giovani, oltre a mantenere i posto a quelli che già ci lavoravano (perchè se avesse venduto meno forse qualcuno lo avrebbero lasciato a casa...meglio dirlo a questi che scrivono codeste banalità). 
Vorrei poi ricordare la pubblicità di qualche mese fa di Mediaset, in cui mostrava quanto lavoro l'azienda di Berlusconi abbia creato nel corso degli anni. Un vero e proprio spot elettorale mascherato, ma non essendo della Coop quello andava bene a quanto pare.

Mi sovviene una domanda: la destra a cui si rivolge "Il Giornale" è anche quella degli imprenditori che hanno visto in Berlusconi un loro rappresentate (...)?. Davvero questi imprenditori vogliono che venga un'iniziativa di successo economico e, perchè no, sociale, come questa?


Non lo so, ma di una cosa son sicuro: la "destra italiana" (se così si può chiamare) fa sempre più pena. Per fortuna anche gli italiana pare se ne stiano accorgendo.



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martedì 23 dicembre 2014

Gli stipendi degli italiani diminuiranno (prima di crescere)

Articolo scritto e pubblicato su MySolutionPost il 18/11/2014
 
I sindacati annunciano battaglia: in 50mila sono pronti a scioperare a dicembre contro la Legge di Stabilità che, a oggi, confermerebbe il sesto anno di blocco salariale in quanto anche nel 2015 gli stipendi del pubblico impiego non subirebbero ritocchi per mancanza di risorse. Il possibile sciopero si andrebbe ad unire alle varie manifestazioni sia del pubblico impiego sia di svariati lavoratori privati che lamentano da una parte i tagli di posti di lavoro, dall’altra il blocco dei salari se non la diminuzione degli stessi (-832 euro nel biennio 2010-2012 secondo Bankitalia).

In un periodo in cui i consumi delle famiglie sono in diminuzione (nel 2013 la spesa media mensile è in calo del -2,5% rispetto al 2012, dati Istat), bloccare se non diminuire lo stipendio di dipendenti pubblici e privati rischierebbe di far crollare ancora di più la spesa dedita ai consumi. Se a ciò uniamo anche una tassazione destinata ad aumentare (fra tasse locali e Iva), il potere di acquisto delle famiglie, già sanguinante, potrebbe esaurirsi totalmente.

Il risultato, senza nemmeno bisogni di dirlo, sarebbe una spirale negativa che coinvolgerebbe le imprese e di conseguenza il Paese tutto, con il rischio di perdite nel gettito fiscale che comprometterebbero il raggiungimento degli obiettivi di bilancio concordati nelle sedi europee.
Detto così il titolo di questo post non avrebbe senso: perché gli stipendi, nonostante tutto il ragionamento qui sopra, diminuiranno? La risposta è semplice: c’è troppa disoccupazione.
Il mercato del lavoro si basa su di un gruppo di agenti che domandano lavoro (imprese e talvolta il settore pubblico) e agenti che offrono lavoro (cittadini in età lavorativa). Senza complicare troppo le cose, se la domanda di lavoro è elevata, gli agenti che si offrono avranno un potere contrattuale maggiore, ergo potranno richiedere stipendi più alti. Se però la domanda scarseggia mentre l’offerta abbonda, allora in una logica di mercato quest’ultima dovrà diminuire il proprio prezzo (leggasi stipendio) fino a trovare un punto di equilibrio.

Oggi, purtroppo, la situazione è la seconda: la disoccupazione è alle stelle (specialmente quella giovanile) e le imprese faticano ad assumere (anzi...). L’offerta di lavoro eccede, e di gran lunga, la domanda. Per questo motivo chiedere oggi ritocchi salariali è fuori luogo, soprattutto per quanto riguarda il settore pubblico

Se consideriamo la bassissima inflazione, il potere reale di acquisto degli stipendi è invariato e lo stesso potrebbe fin aumentare in caso di deflazione (come già accaduto pochi mesi fa). Non vi è quindi alcun bisogno, a oggi, di aumentare le retribuzione.
A essere precisi poi, bisognerebbe ricordare a sindacati e lavoratori del pubblico come i loro stipendi siano tutt’ora maggiori rispetto ai colleghi del privato (a dispetto di un produttività in media
minore), senza contare poi le maggiori tutele.
A sindacati e lavoratori del privato invece, è doveroso rammentare che la produttività media delle imprese italiane sia de facto ferma da 15 anni rispetto agli altri concorrenti UE:                             

Poletti _20141117 

Il destino degli stipendi italiani è quindi quello di diminuire in un primo momento per poi, solo successivamente, ricominciare a crescere al pari della produttività? Non necessariamente. Il problema infatti non è tanto lo stipendio in busta paga che ricevono mensilmente i dipendenti, ma il costo del lavoro di quel dipendente.

Il cuneo fiscale italiano è fra i più alti dei paesi dell’area Ocse: 47,8% per un lavoratore single senza figli contro il 35,9% di media e la differenza tende ad aumentare per gli altri casi (dati Ocse).
Se il Governo decidesse un taglio deciso alla tassazione sul lavoro, ecco che il pericolo di diminuzione degli stipendi sparirebbe, domanda e offerta tornerebbero a tendere verso l’equilibrio (meglio se supportati da una riforma seria e vera del mercato del lavoro stesso).

Questa sarebbe la soluzione ideale ed è ciò che i sindacati, tutti assieme, dovrebbero chiedere a gran voce. Gli aumenti salariali arriverebbero, nel medio-lungo periodo, automaticamente.

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