venerdì 30 maggio 2014

Perché le quote rosa sono un male per la società e le donne stesse

Articolo pubblicato per MySolutionPost


È da poco passato l’8 marzo, festa della donna in cui si dovrebbero celebrare le conquiste sociali ed economiche del sesso femminile ottenute in questi ultimi decenni per arrivare, molto lentamente ad essere onesti, alla parità dei sessi.
Siccome, nei fatti, siamo ancora lontani dal considerare uomo e donna uguali, molte donne spingono per riforme anche “estreme” per obbligare la società ad accettarle come pari, e non inferiori, agli uomini.
Sia ben chiaro, nessuno vuole affermare che gli uomini siano superiori e ci si augura che la parità dei sessi arrivi il prima possibile anche nei fatti e non solo nelle parole, però alcune proposte fatte sono esse stesse antimeritocratiche, sessiste e quindi sbagliate.
Fino a qualche mese fa si parlava del femminicidio (argomento delicato e complicato che non andremo a trattare qui), oggi vanno di moda le “Quote Rosa”, soprattutto dopo l’insediamento del nuovo Governo Renzi, il quale ne ha fatto un proprio marchio di riconoscimento (per non dire “spot elettorale per future elezioni).
Cosa sono dal punto di vista imprenditoriale? In pratica, obbligano le società quotate e a partecipazione pubblica ad avere una certa percentuale di donne nel CDA. Lo scopo è quello di spingere verso una “parificazione di carriera” fra uomo e donna. E chissà che magari non vengano estese a tutte le aziende un giorno.
Il ragionamento è semplice: nell’azienda X non ci sono donne nel CDA? Da ora in poi sei obbligato ad assumerne per arrivare ad un rapporto uomini/donne secondo il legislatore congruo. Rapporto che ovviamente dovrà crescere nel tempo. Se non lo farai, scatteranno delle punizioni.
Certamente, dati alla mano, la situazione è tragicomica. Come sottolineato dal Sole24Ore:
il numero di donne presenti nei consigli di amministrazione delle aziende italiane è in aumento: lo dice il report annuale elaborato da Ria Grant Thornton, secondo cui, rispetto allo scorso anno, le «quote rosa» nei cda sono salite dal 14 al 15,7% […] Il nostro Paese resta tuttavia indietro rispetto non solo al resto d'Europa, ma anche del mondo. Basti pensare che nel vecchio continente la percentuale di donne che siedono nei cda delle aziende è del 23%, mentre a livello globale addirittura del 24% […]
Una distinzione va fatta anche per gli incarichi ricoperti: solo il 10% riesce a diventare amministratore delegato e appena il 7% ha il ruolo di presidente. La presenza di donne nei board delle aziende diminuisce inoltre con l'aumentare del fatturato delle società, con una presenza particolarmente concentrata nelle imprese con turnover compreso tra i 30 e i 100 milioni.”
Siamo ben sotto al resto del mondo (come in praticamente ogni cosa, a dire il vero), quindi obbligare attraverso una legge ad assumere donne potrebbe essere una soluzione? A mio parere no, anzi, sarebbe fin deleterio per le donne stesse.
Parità di trattamento e diritti e quote rosa sono contrari più che sinonimi e non sono la giusta via per arrivare alla parità di sesso in quanto esse stesse in primis distinguerebbero maschi e femmine, “premiando” le seconde solo per un fatto di sesso. Cadono quindi nello stesso vizio per il quale sono nate.
Fra l’altro, non gioverebbero neppure alle donne presenti nei CDA, le quali verrebbero viste come “privilegiate”, gettando ancora più benzina sul fuoco su quella sciocca lotta fra sessi.
Oltre a ciò, non verrebbero risolti i veri problemi alla radice di questa poca presenza femminile nelle aziende tutte, non solo quelle quotate: ad esempio la maternità, sempre più un costo di difficile gestione per le aziende, dato anche il momento di crisi; oppure la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, soprattutto per le madri che hanno figli piccoli (data anche la scarsità di asili nido) e orari di lavoro inconciliabili con il vero e proprio lavoro di mamma (i quali causano le richieste di cambiamento da full-time a part-time).
Personalmente poi spingerei per davvero, ove possibile, su quel lavoro da casa (che sarà il futuro, quindi tanto vale iniziare ad introdurlo il prima possibile) che risolverebbe i problemi sopra citati.
Queste sarebbero riforme che naturalmente porterebbero ad aumentare la presenza femminile nelle aziende, anche in posizioni importanti. Se una donna è brava verrebbe per davvero assunta e riuscirebbe ad avere una carriera uguale a quella dei suoi colleghi uomini, se non addirittura migliore. Un caso è quello nel settore della comunicazione:
Circa il 70% dei responsabili degli uffici stampa delle aziende è rappresentato da donne, e una presenza femminile quasi analoga si registra tra i direttori (o meglio le direttrici) dell'area della comunicazione.
E' quanto emerge dalla previsione per il 2012 (ma datata 2007) di Censis Servizi, previsione che sembra per il momento essere stata rispettata.
[…]
quali sono quindi le caratteristiche che fanno si che le donne si impongano sul sesso forte nei settori della comunicazione? [...]
Dello stesso parere delle intervistate sembra essere Gherarda Guastalla Lucchini (presidente G&G Relazioni Pubbliche e Socio fondatore FERPI) che ha dichiarato: “[…] Credo che sia la naturale conseguenza della maggiore sensibilità sociale delle donne, della loro superiore capacità di ascoltare, della loro più alta attenzione all'etica. Oltretutto le donne hanno più coraggio a dire no a politiche o decisioni che non condividono.”
Le quote rosa non sono quindi una soluzione per risolvere il problema. Attuare le riforme per aiutare le donne impegnate anche nella costruzione di una famiglia, facendo in modo che possano esprimere tutto il loro talento. Questa sarebbe una soluzione.
E chissà, magari anche un cambio di mentalità dei papà, i quali potrebbero chiedere giorni di congedo per far rientrare al lavoro prima le mogli, come accade in Svezia, ad esempio.

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